LOVERE – SARDEGNA – La storia – Silvia, la laurea, l’impiego fisso in banca per poi lasciare tutto e vivere in Sardegna nella sua Collina del Vento

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Silvia sta inseguendo il vento, sta inseguendo Eolo (il suo cane), sta inseguendo le sue meravigliose galline, sta inseguendo i suoi sogni, e ogni tanto li raggiunge, li supera, li aspetta e poi riparte, con altri sogni. Sempre nuovi. ‘Silva fai presto che sono le 8’, anzi no, lasciamo perdere Vasco, perché Silvia fa presto in tutto, va di fretta, Silvia Mazzoli, 41 anni ma ne dimostra 10 di meno, arriva da Pisogne e/o Lovere, a seconda di come preferite, aveva il classico e per tanti ambito posto fisso in banca e un giorno ha deciso di licenziarsi, lasciare tutto, andare in Sardegna e reinventarsi una vita in quella che ha ribattezzato ‘La Collina del vento’ e qui il vento soffia, eccome se soffia, soffia libertà. Silvia in questo momento è in pausa, dopo aver preparato colazioni e sistemato quell’incanto del suo Bed and Breakfast. San Teodoro, 5000 anime nella provincia di Sassari, in piena Gallura, alle pendici orientali dal massiccio di monte Nieddu. Silvia qui è circondata da ulivi, ginepri, olivastri che danzano nel vento. Il mare è li sotto, cristallino e puro che sbatte su albe e tramonti mozzafiato. Silvia qui ci è arrivata anni fa: “Con me Chicco, il mio compagno, e i miei compagni di avventura Maia e Eolo, i nostri cani che scorrazzano tra gli ulivi, Rubio e Grigetti, i gattini affettuosi e Clara, Bianca e Alba le nostre amiche pennute”. Ma facciamo un lungo passo indietro: “Da piccola ero un maschiaccio, giocavo a calcio nel cortile di nonna. A due anni ci siamo trasferiti a Massa, poi l’ultimo anno di asilo ero a Dalmine, siamo andati a vivere lì per il lavoro di mio padre e lì ho frequentato tutte le Elementari, poi sono tornata al lago. Scuole Medie e Liceo Classico a Lovere. Giocavo con i maschi, mangiavo le formiche, allora non c’erano i social, i prati erano il nostro punto d’incontro, forse perché ho un fratello più grande e quindi i suoi giochi erano i miei, costruzioni, pallone, ecc. Avevo le Barbie ma le consideravo poco”. Sei ancora un maschiaccio? “Di base sono sicuramente femminile ma mi piacciono molto i lavori manuali, ad esempio ho appena finito un lavoro con il trapano, me la cavo molto bene in questo senso”. Quando si è piccoli, tutti chiedono cosa si vuole fare da grande, tu cosa rispondevi? “Io l’infermiera. A casa poi mi dicevano ‘perché l’infermiera? Fai il medico’, alzavano sempre l’asticella, in realtà io non mi sono mai vista in un posto a fare qualche cosa di specifico, in questo senso mi sento un po’ un apolide”. Scuole Medie a Lovere e poi sempre a Lovere, il Liceo Classico: “Mi piace scrivere, tantissimo, a scuola non ero una secchiona, ma non sono mai stata bocciata o rimandata, me la cavavo, avrei potuto studiare molto di più. Però mi sono divertita e a quell’età è importante. Avevo un bel gruppo di amici”. E poi? “Io dopo il Liceo sognavo di fare l’archeologa, mio papà era preoccupato che facendo archeologia non avrei avuto un futuro, magari in un museo senza muovermi, io che invece volevo girare e scoprire cose nuove. E così ho lasciato perdere archeologia e sono entrata a scienza delle comunicazioni, un anno di Relazioni Pubbliche e poi sono passata a Scienze Turistiche allo IULM a Milano”. Vivevi là? “Sì, i primi due anni in Viale Forlanini, vicino all’aeroporto, ricordo che andavo ogni tanto a vedere gli aerei che atterravano, poi ho trovato un appartamento in zona Gambara. Mentre preparavo la tesi ho cominciato a lavorare in un’azienda di servizi di marketing. Terminata la tesi ho cominciato a guardarmi attorno, ho mandato un po’ di curriculum in giro, e sono stata assunta da CheBanca!”. Silvia è apposto. Almeno sulla carta. Posto fisso. Nella metropoli d’Italia. Città di quelle che economicamente sono ai primi posti in Europa. Ok. Ma a Silvia manca qualcosa, che vale più di un posto in banca, che vale più di ogni altra cosa: “L’ambiente era meraviglioso, con i miei colleghi mi trovavo benissimo ma c’era qualcosa che mi mancava. Io sono così, un po’ come mamma, inizio a vedere le cose che non mi piacciono, mi innervosisco, provo a cambiarle ma non ci riesco, ma non mollo e capita che prima o poi ce la faccio”. Silvia si licenzia. Lascia il posto fisso in banca. Facciamo un passo indietro, Silvia è figlia di Anna Maria Garattini, storica sindaca di Lovere e Gianni Mazzoli. Quando dici a mamma che ti licenzi cosa ti ha detto? “Quasi sviene – sorride Silvia- anche perché era un periodo difficile, ho avuto un matrimonio lampo nel 2009, ero a Milano, lui era un ragazzo di Napoli, faceva il programmatore, ci eravamo conosciuti al lavoro, in 8 mesi ci siamo sposati, non so, era un periodo difficile, perché mio padre stava male, Alzheimer e io vivevo questa situazione in modo molto difficile, ho sempre avuto un rapporto molto forte, intenso con mio papà e non accettavo la sua malattia, era sempre stato lui a farmi da guscio, a proteggermi e questa situazione mi metteva in difficoltà. E in quel periodo Gianfranco, si chiamava così il mio futuro marito, è stato sempre presente e così per me è stato quasi naturale sposarlo. Ma avrei dovuto capirlo che non era la persona di una vita, non sentivo le farfalle nello stomaco, insomma, non ero innamorata”. Silvia dentro non sta bene: “Non ce la facevo, dovevo andarmene, staccare il cordone ombelicale con il mio passato e ricominciare. Mi sono licenziata. Avevo la grande fortuna di non avere un mutuo da pagare, i miei mi avevano comprato un appartamentino a Milano, l’ho venduto due anni fa, mi sono licenziata e sono tornata a casa a Pisogne in attesa di partire per Londra qualche mese. Volevo tornare nell’ambito turistico e avevo bisogno di rispolverare l’inglese, Londra era l’ideale, almeno cosi pensavo. Era piena di spagnoli e italiani. Pensavo di fermarmi di più ma le condizioni di papà peggioravano, e così sono rientrata. Sono stati mesi duri, faticosi. L’ultimo periodo ero assorbita completamente da mio padre, soffrivo con lui, a febbraio è mancato, mi sentivo svuotata….

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