Intervista di Giorgio Fornoni a Mons. Giovanni Martinelli. Ultimo italiano a rimanere in Libia, ha rifiutato di rientrare in Italia. Lo raggiungiamo al telefono. La voce è quella di sempre. Che lui non ha paura, non l’ha mai avuta, la sua arma è il vangelo, ed è un’arma che fa da guscio, e ti accorgi solo quando gli parli: “Non ci penso neanche, sono pronto al martirio. Rimango con i miei fedeli.
Sono venuti a dirmi che devo morire. Ho visto delle teste tagliate, se Dio vorrà che io finisca così, così sarà. Io ringrazio il Signore che mi permette di essergli vicino anche col martirio. Non so dove mi porterà questo cammino. Se mi porterà alla morte, vorrà dire che per me Dio ha scelto così. Non ho paura”.
Gli altri se ne sono andati tutti. Lui no, e i cristiani lì, mentre scriviamo, restano circa 300, sui 150 mila che erano negli anni Settanta. “Giorni non certo facili quelli che sta vivendo il Paese nord-africano, politicamente diviso (e non da oggi), con i fondamentalisti del Daesh (altra denominazione dello Stato islamico) in procinto di avanzare verso Tripoli e quindi con il rischio di aprirsi una via nel Mediterraneo in direzione Europa, ovvero Italia. A questo si aggiunga l’esecuzione di 21 copti ortodossi che ha determinato la reazione dell’aviazione egiziana con alcuni raid effettuati nella zona di Derna, nell’est del Paese, già dall’anno scorso nelle mani dell’autoproclamato califfato, e sulla città di Sirte”. Nel frattempo da più parti si invoca con urgenza l’intervento diplomatico, ma se necessario anche militare, da parte delle Nazioni Unite.
Intanto nel Paese si calcola siano presenti un milione e mezzo di migranti, totalmente privi di protezione, molti dei quali egiziani oppure originari degli Stati sub-sahariani, giunti in Libia attraverso il Niger o il Sudan e non disposti a tornare a casa “a mani vuote”. E poi ci sono gli stessi libici che, nel timore di una guerra, vorrebbero approdare su lidi più sicuri. Mons. Giovanni Martinelli, 73 anni, da trent’anni vicario apostolico di Tripoli, in questa situazione politicamente caotica rassicura: “Io sto bene, grazie a Dio. Non ho problemi”. Come vive questa situazione di attesa tra la venuta del “diavolo” da una parte (l’Isis) e delle truppe sotto l’insegna delle Nazioni Unite dall’altra? “Mamma mia, che vergogna! Aver paura, quando noi abbiamo il vangelo e Gesù con noi! Ma quale paura?”. Già, quale paura? (…)
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