La scuola, i ricordi, i metodi. “Cara Maestra, mé mai ciapàt ol 10…”. La maestra in questione, Maria Giussani, si ritrova così a raccontare gli entusiasmi e quelle che chiama le sue “fortune” di giovane insegnante, adesso che è in pensione e che si occupa, a tempo perso, di tutt’altre attività.
La sua è la storia di una scuola che voleva formare “uomini liberi”, “teste pensanti”. Che sembra riecheggiare il manifesto di don Sturzo nel fondare il Partito Popolare nel 1919. Mica poco. E per farlo la maestra Giussani aveva fatto tesoro della famosa frase di don Lorenzo Milani: ‘L’operaio conosce trecento parole, il padrone tremila. Ecco perché lui è il padrone’. Tanto più perché la inquietava il termine “padrone” nel rapporto fra persone.
“Voglio fare il benzinaio”
Lassù a Ceratello prima, e poi a Branico, i bambini erano di famiglie contadine e l’impegno della maestra, allora, era convincerle che la conoscenza avrebbe consentito ai loro figli di scegliersi il “mestiere di vivere” per dirla con Pavese.
“C’era un bambino che ripeteva spesso: ‘Da grande voglio fare il benzinaio’. Dopo averglielo lasciato affermare per alcune volte ricordo di avergli detto, seria seria: ‘Guardami… Tu prima arrivi al diploma, dopo farai il benzinaio, lo spazzino comunale o quello che vorrai. Sarai un uomo libero di fare le tue scelte.’ Si è diplomato: ha scoperto altri suoi interessi e altre sue strade. L’ideale era che potessero studiare per poi poter scegliere senza impedimenti o condizionamenti”.
Appunto, quelle benedette parole, frutto di esperienze vitali, che fanno la differenza e che fanno diventare o meglio concorrono a farci “responsabili di noi stessi”.
Gli indoratori
La maestra in questione viene da una famiglia di professione “indoratori”; un antenato con bottega artigianale in città alta a Bergamo era stato chiamato a Lovere, nel 1855, dal parroco di allora, don Angelo Bosio, per restaurare l’Altare dell’Immacolata nella Basilica di Santa Maria in Valvendra e a Lovere poi era restato aprendo bottega in borgo S. Maria. Attività proseguita poi dal nonno e dallo zio e gustata con ammirato stupore dal papà bambino che amava vedere indorare “le ali degli angiolini”. (…)
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