Mons. Beschi: “Sto ascoltando, per capire” Il Vescovo in visita pastorale… ricognitiva

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“Parliamo alla pancia della gente ma senza dimenticare il cuore”

Arriva in un paese, in una parrocchia, in un santuario, scende dall’auto con il sorriso di chi si vede e rivede volentieri, stringe mani, accarezza, ascolta. “Sì, in questo periodo credo sia importante ascoltare. Tutti”. Mons. Francesco Beschi è arrivato da pochi mesi in Diocesi di Bergamo dalla vicina Diocesi di Brescia. Il suo proposito è di non essere invadente. Ascolta. Ma per ascoltare deve uscire dal “palazzo” della Curia, in città alta, vuol farsi un’idea sua, senza preconcetti, non si può accontentare di quello che gli riferiscono. Quindi si è messo a girare come una trottola per la Diocesi, con la “scusa” che deve presenziare alle feste patronali, alle cerimonie, commemorazioni, anniversari, va bene tutto, purché la gente possa parlargli. Mai visto un Vescovo che, al termine di un pranzo comunitario, passa a salutare centinaia di commensali uno per uno, scende nelle cucine e stringe le mani di cuochi e cuoche, si ferma al bar a bere un caffè con gli avventori del giorno, ascolta quello che gli sussurra una donna anziana, un signore con il volto segnato da qualche dolore non rimarginato… E poi i suoi preti, certo. Ma anche quelli che stanno in piccole parrocchie, lontane come la stella più lontana dalla madre terra, che magari si sentono dimenticati se non proprio abbandonati. E ha un fiuto mediatico paragonabile, a quel che ricordo, solo a quello di Mons. Clemente Gaddi, ma adesso i mezzi di comunicazione si sono moltiplicati e ognuno di loro però raggiunge fedeli che non sentono la voce del loro Vescovo da tempo e la possono magari sentire solo lì, in quella piccola televisione. Nemmeno un gesto di impazienza per le stesse, scontate domande, fa niente, il Vescovo è qui. Mons. Beschi, nel suo ascolto, ha già percorso in lungo e in largo la Diocesi, senza annunci eclatanti. Si ha l’impressione che registri tutto quello che sente, che vede. “Dovrà pur fermarsi, prima o dopo”, mi ha detto un parroco, sorpreso da questo attivismo pastorale. I suoi preti in effetti stanno aspettando, alcuni il botto, altri anche un piccolo segno che risvegli una Diocesi ripiegata su se stessa, che non ci ha capito molto in quello che le è successo attorno in questi ultimi due decenni, abituata da sempre a un signorile ma ferreo controllo anche sociale e politico, si ritrova in molti paesi a essere quasi marginale, a marciare fuori passo o addirittura a segnarlo, il passo, con da una parte E in mezzo a questo cambiamento qual è allora la missione della Chiesa? “E’ una domanda importante, tante volte dobbiamo denunciare quello che succede, perché semplicemente è un male, perché questo considerare solo noi stessi ci porta a rovinarci con le nostre mani. Tutto questo ha investito anche la Chiesa e a mio giudizio nelle nostre terre, nelle nostre zone, abbiamo dato per scontato la fede, una grande fede di tradizione, ma dobbiamo custodire la tradizione, la fede si alimenta con il confronto costante, con le istanze di un mondo che cambia”. Anche nel linguaggio, con le sue forme ripetitive, che sono rimaste le stesse degli anni ’50, ’60, quel camminiamo insieme sempre con le stesse parole, non ha più presa, la gente cerca un linguaggio innovativo, lei trova pronti i preti a un cambiamento? Il vescovo sospira e sorride “Vediamo. Desidero ascoltarli tutti, ma voglio e sto già dicendo loro di dire qualcosa che non sia ripetitivo, ma prima devo ascoltarli e proprio dall’ascolto nasce tutto, si capisce cosa c’è che va o non va, manca l’ascolto, dappertutto manca l’ascolto, di questo abbiamo bisogno , nelle famiglie e nelle comunità non ci ascoltiamo a sufficienza, sembra quasi una gentile concessione”. Intanto proprio l’ascolto o perlomeno il tempo di ascolto ha fatto la differenza. Qualcuno ha parlato alla pancia della gente, la Chiesa al cuore o forse ha mirato alla testa, qualcuno invece si è infilato nella pancia e poi penso al secondo comandamento, quello dell’amare il tuo prossimo come te stesso, parlando alla pancia questo comandamento ha perso valore, è sparito, è mancata la fiducia ma questo era la vera rivoluzione del cristianesimo o no? “Questo discorso del parlare alla pancia è molto serio, la pancia comunque fa parte della un senso di impotenza di fronte ai cambiamenti e la tentazione catacombale di chiudersi con un piccolo gruppo di “resistenti”. E gli stessi potenti mezzi di comunicazione che la Diocesi ha avuto, oggi faticano a fotografare e interpretare. Mons. Beschi ascolta. Poi arriveranno le grandi scelte, le grandi decisioni. * * * Eccellenza, Lei sta girando fin dalla sua nomina in tutte le parrocchie, non è che sta facendo una sorta di visita pastorale ricognitiva? “Quello che lei sta dicendo è vero, non ho la pretesa di farla con tutti i crismi delle visite pastorali ma il desiderio di poter conoscere la realtà delle singole parrocchie, anche se comprendo che è una maniera approssimativa, della realtà bergamasca, ma è uno degli intenti. Oltre questo sta nel mio animo quello di cercare di avvicinare le persone, perché perlomeno sentano anche solo l’attimo di un saluto, noi siamo i pastori nostra umanità, ma anche noi comunità dobbiamo arrivare alla pancia senza dimenticare che il centro però è il cuore, la testa va riportata al cuore che è l’io profondo elaboratore della nostra vita. Non bisogna parlare alla pancia sollecitando forme istintive della paura, quelle delle prese di distanza, del sospetto, pur avvertendo alcuni bisogni fondamentali delle persone. La forza delle nostre Chiese, non solo di quelle dislocate in tutto il mondo è sempre stata quella che il prete e la comunità sono sempre stati vicini ai vissuti della gente. Dobbiamo tornare a persee dobbiamo entrare nelle comunità”. Il suo è un cambiamento innovativo notevole, tenendo conto della centralità della curia bergamasca, erano i preti a essere convocati in curia, lei invece va a vederli sul campo: “Anch’io li convoco, in questi mesi ne ho incontrati tantissimi a livello personale, fra poco poi ci sarà la consueta assemblea del clero e quella diocesana, ma certamente incontrarli sul campo è un’altra cosa, ci tengo a fare visite vicariali lì nell’ambiente in cui lavorano, mi sembra importante, in questo modo mi sto rendendo conto della varietà della diocesi di Bergamo”. Anche Brescia però dove lei operava prima è molto varia: “Sì, con tutto il rispetto fra le due realtà c’è una grandissima affinità, cambiano molto a seconda che ci si trovi nella Bassa, nelle Valli o in città, per questo è importante entrare nelle varie realtà e trovare dal punto di vista pastorale risposte diversificate”. La Chiesa ha sempre trasmesso fede e fiducia. Fiducia laica e fede cristiana, tutte e due strettamente connesse, come ha detto lei poco fa nell’omelia. E’ venuta a mancare la fiducia, l’egoismo è dilagato e di conseguenza si è sfilacciata anche la fede. Cosa è successo in questi ultimi 20 anni? La nostra gente prima era fiduciosa e piena di fede e adesso? “Il Vangelo esplicitamente denuncia il cammino di un progresso di cui, se da un lato non possiamo che compiacerci, dall’altro purtroppo ha fatto coltivare e crescere un’illusione che ognuno possa bastare a se stesso. Ognuno ha fatto di sé il centro, e lo si capisce dalla disgregazione delle famiglie, dallo sfaldamento delle comunità. La relazione con l’altro avviene con il costante sospetto che l’altro possa rovinare o rubare la nostra vita. Questo è l’altro aspetto del progresso”. seguire quella vicinanza”. Intanto da mesi cominciano a circolare nomi su chi sarà il vicario generale, ha già un’idea? “Il Vicario Generale è ancora in incubazione”. Ma è in pectore? “No, non ancora, diciamo che sta proprio incubando la sua uscita. Intanto però devo davvero rendere omaggio a quanto sta facendo Mons. Lino Belotti che mi sta aiutando tantissimo”. Con la sua scelta del vicario poi si capiranno tante cose. Mons. Beschi ride: “Sì, si capiranno tante cose”. Come mai alcuni parroci sembrano inamovibili e sono nello stesso posto anche da 14 anni mentre, anche con le ultime sostituzioni, quelle di questi giorni, sono stati mantenuti i dettami del sinodo di spostarli dopo 9 anni? “Il capitolo delle destinazioni l’ho dovuto affrontare anche a Brescia, ci sono dei criteri generali impositivi che col tempo cambiano. E’ necessaria maggiore mobilità rispetto al passato ma passare dalla teoria alla pratica lo confesso, non è semplice”. La Diocesi di Bergamo sul fronte media è sempre stata fortissima, adesso c’è un po’ di crisi, soprattutto a L’Eco di Bergamo. C’è poi stata la crisi di Radio Emmanuel che è stata chiusa, ma poi c’è la tv più grande come Bergamo Tv e radio Alta. Ci si devono aspettare dei cambiamenti? “Su Radio Emmanuel sto facendo una seria riflessione. Sto riflettendo su questa esperienza, voglio provare a farla diventare una comunicazione ‘bassa’, nel senso una radio ecclesiale, desidererei collocarla lì ma sto cercando di capire come. Per quanto riguarda L’Eco è innegabile la grandezza dell’opera che si rifà alla sua storia ma ci sarà bisogno di un’ulteriore riflessione anche critica ma in questo momento c’è l’apprezzamento di una grande storia che in questo momento mi conforta. Poi è necessaria per me una conoscenza soprattutto della realtà bergamasca per capire come viene riportata sui media, devo capire se quello che traspare è la nostra provincia e per farlo ci vuole tempo”. Allora ci risentiamo fra sei mesi? “Volentieri”. Volentieri.

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