L’infanzia a Gaverina, papà Santo e mamma Maria, gli studi a Roma, la psicologia. “La mia fortuna, come prete, è di aver ascoltato tanto, senza giudicare, senza pregiudizi”
“Se sto bene e non mi cacciano, vorrei concludere qui la mia esperienza di prete. Io preferisco la parola ‘prete’, ‘presbitero’, a quella di ‘sacerdote’. ‘Presbitero’ deriva dal greco ‘presbyteros’, che significa ‘più anziano’. Ma io preferisco essere definito ‘vecchio’ che ‘anziano’. Mi piace l’idea del vecchio saggio che sa dell’uomo e sa sempre un po’ più di Dio. E’ questo il ruolo che mi vorrei ritagliare”.
Don Giuseppe Belotti sorride. Seduto sulla poltrona, nella sua abitazione di Viana, il settantaquatrenne “prete psicologo” ripensa al suo mezzo secolo di vita sacerdotale. Avvolge quindi i nastri della memoria e torna ai tempi della sua infanzia. Gaverina, piccolo borgo della Val Cavallina, al di là del Colle Gallo. Nasce il 5 aprile 1945, 20 giorni prima della fine della guerra, in una famiglia numerosa.
“Eravamo in 10: papà, mamma e 8 figli… adesso siamo rimasti in 7. Il papà, Santo, aveva fatto solo la prima elementare, era un manovale, lavorava in Svizzera e tornava a Gaverina in inverno. La mamma, Maria, si occupava di noi figli e della terra…
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