NEMBRO LA MIA STORIA Mi chiamo Alexia sono anoressica Un cammino lungo per uscirne, tutto in salita e invece io cercavo la discesa

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Questa è la storia di Alexia. La nostra… stagista. Che ha sofferto di anoressia. Sofferto tanto. E che si è raccontata. Volevamo fare un’inchiesta, perché il 15 marzo scorso c’è la giornata mondiale per i disturbi alimentari, e volevamo raccontare chi con questi disturbi ha vissuto, lottato, sofferto.

E Alexia, che adesso vive in una comunità a Nembro, dopo essere stata altri due anni in una Comunità a Genova, ha deciso di raccontarsi. Ha preso la penna e ha messo nero su bianco quello che ha vissuto, quello che vive, quello che sta superando. Alexia ha 18 anni e una sensibilità disarmante, di quelle che poi diventano forza quando non te ne accorgi. Alexia arriva da Albano Sant’Alessandro e ora vive a Nembro, alla comunità Girasole. Frequenta una scuola a Seriate, ama la poesia (soprattutto Alda Merini) e scrive come se fosse nata con la penna in mano. Questo è il suo primo articolo. E non sarà certo l’ultimo.

 

di Alexia Maver

Sono solo un articolo di giornale, potresti strapparmi, disegnarmi, persino darmi fuoco, non ho alcun potere su te, In ogni caso in queste righe c’è racchiuso un grande dolore, quindi, sfogliami, leggimi, interpretami.

Non è facile iniziare una storia come la mia. Una storia d’amore, di paura, di rabbia.

La storia di una guerra. Una guerra contro chi? Contro me stessa. In un vortice malato, enigmatico e travolgente. Vi narrerò della mia anoressia, un tragitto senza destinazione, allo sbando. L’anoressia ti divora da dentro, come un mostro che si nasconde insidioso nella tua anima. Ricordo bene quando mi ammalai, avevo da poco quindici anni. In seguito ad alcuni eventi traumatici accaduti a me e alla mia famiglia mi chiusi nel mio mondo, dentro me stessa, in un luogo oscuro, ove nessuno poteva entrare. La verità è che quando il passato ti trafigge, non sei più quella di prima, sei l’ombra di quella che eri.  Io mi ero persa da tempo oramai, come se mi trovassi in un labirinto oscuro, dalle pareti taglienti e laceranti. Quel giorno, mia madre, anche lei avente un disturbo alimentare, mi regalò un paio di jeans, taglia 38. Io portavo la 42. Le sue parole arrivarono a me come uno schiaffo sull’orecchio, di quelli che rimbombano almeno dieci minuti: “Sei grassa, Guardati. Devi dimagrire”.

Mi specchiai, il mio riflesso era tetro, buio, triste. Quello che notò il mio sguardo disperato fu il grasso, grasso che sporgeva dai jeans, che usciva dalla canottiera.

Scoppiai a piangere, in un urlo spaventato d’aiuto. Odiavo il mio corpo, ogni singolo millimetro, ogni capello, ogni parte di me. Così iniziò il mio crollo, di colpo, senza ma, senza occasioni, senza perché, senza che nessuno mi tendesse la mano. Smisi di mangiare, inizialmente i carboidrati, i dolci, poi esclusi tutto, eccetto le tisane e la buccia della mela. Mi nutrii solo di quello per diverso tempo. Lasciai la scuola, gli amici, la mia vita. Tutto era concentrato sul dimagrire, sul perdere peso, in un’ossessione che non ti lascia vie di scampo. Io volevo vedere le mie ossa, il numero sulla bilancia doveva essere sempre inferiore. Volevo essere una piuma, leggera, e volare via da quella vita, troppo stretta, che non sentivo più mia. Avevo perso la cosa più importante, me stessa, la mia identità. Non vedevo un futuro, né una luce, né un amore. 

Come quando sei bambino, sei al buio, ma ne hai una tremenda paura e cerchi disperatamente la luce a tastoni, ma sei troppo piccolo e l’interruttore è troppo alto; io mi sentivo così, in trappola. Nessuno vi racconta mai quanta sofferenza c’è dietro ad un disturbo alimentare, nessuno vi parla dello strazio, della sensazione di soffocamento quando ti imponi di vomitare, della puzza di morte che respiri, dei capelli persi, sparsi e ritrovati ogni mattina sul cuscino bianco, dell’assenza di forze, dell’incapacità di accettarsi. Volete saperla una cosa? In verità, quel maledetto numero sulla bilancia, non vi basterà mai, vorrete sempre meno, fino ad annientarvi, al desiderare di non essere mai nate. Io arrivai a 34 kg, mi vestivo con abiti da bambina, perché la mia taglia non esisteva, troppo piccola. Un soffio di vento, mi faceva barcollare. …

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