Era nato nel 1936 in via Talpino in una casa situata poco oltre il convento delle Suore di Carità o di Maria Bambina che un tempo gestivano la scuola elementare femminile e tenevano corsi di cucito. In quella casa con orto Bepi ha trascorso praticamente tutta la vita. Ultimo di cinque fratelli, non conobbe il padre, morto prima della sua nascita. Gli anni della sua fanciullezza e prima giovinezza furono segnati da dure condizioni di vita. Raccontava spesso due episodi emblematici: quando una vicina di casa chiese a lui bambino cosa desiderasse come regalo per la Prima Comunione le rispose che avrebbe desiderato avere un uovo per fare il ciareghì, e che avrebbe voluto mangiarlo tutto intero. In quello stesso periodo, diceva, il pane bianco era una rarità sulla mensa. Il fratello maggiore, tredicenne, con una misera bicicletta andava giù per la pianura a procurarsi qualche chilogrammo di granoturco.
La mamma, donna energica e coraggiosa, un giorno durante la guerra, gli disse che, a guerra finita, ci sarebbe stato pane bianco a volontà per tutti. «Mi sembrava impossibile che quelle parole un giorno si potessero avverare». E tuttavia si avverarono anche perché un suo fratello divenne garzone di fornaio.
Terminata la scuola elementare Bepi iniziò il suo apprendistato presso un calzolaio del paese e qui apprese in tutti i suoi segreti un’arte che, con interruzioni, avrebbe esercitato per tutta la vita.
Dopo il servizio militare, siamo alla fine degli anni Cinquanta, lui è un giovane con forti aspettative, ma i piccoli artigiani vengono messi all’angolo dal progresso tecnico, la gente non fa più riparare le scarpe, in fatto di calzature si impone l’ “usa e getta”. Si trova disoccupato. E’ costretto a cercare lavoro fuori dal territorio nazionale. Emigra in Svizzera, nel febbraio 1960 . Destinazione Kollbrunn, non lontano da Winterthur, cantone di Zurigo….
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