“Io sono di Bratto mica di Castione! A Bratto ci chiamano i Pegher credo perché eravamo tutti pastori, un tempo a scuola ci conoscevano perché si puzzava di stalla, a Dorga i sorec ma non ho mai saputo perché… quelli di Castione i patate, perché Castione è tutto attaccato e gli abitanti vivono tutti insieme come le patate nel campo”.
“Come non rimanere, qui è un paradiso, ci vivo da vent’anni e mi trovo bene ma questo posto potrebbe essere cento volte meglio con un po’ di spirito di aggregazione e solidarietà che mi pare manchi…”
I cuori di San Valentino sulle vetrine come briciole di Pollicino mi conducono al bar di Monica. E’ in vendita ma solo perché è da sola ed è stanca di vivere per l’attività e non più per se stessa. Il discorso cade ancora sul successo dei mercatini che però, spiega, non sono certo la soluzione alla stagione invernale sempre più corta come anche quella estiva: “Vedi, l’iniziativa è da applaudire, anzi da ampliare, però abbiamo avuto sicuramente un Natale sotto tono, poi tutto il lavoro si è concentrato in cinque giorni, e possono esserci migliaia di persone in giro in cinque giorni ma se hai dieci tavoli più di tanto non puoi fare. Meglio centinaia di persone spalmate in più giorni, è un po’ come se chiedi dell’acqua e poi ti arriva una caraffa da due litri ma tu hai un solo bicchiere, beh viene versata inutilmente e non ne puoi che raccogliere che un bicchiere…”.
Mi è venuta sete a sentir parlare di acqua e incontri… clandestini (vedi prima parte del racconto pubblicato sull’ultimo numero – n.d.r.) e mi siedo a berla con una nonna giovanissima, più giovane di me per dire. Si chiama Patrizia e mi fa posto prendendosi in braccio una bimba vivacissima che mi guarda incuriosita mangiando patatine che le ruberei volentieri. “Sono nata a Lugano ma vivo qui da sempre, mio papà era di Livigno, mia madre l’ha incontrato quando è emigrata in Svizzera”. La mamma seduta accanto annuisce: “Se lui voleva sposarmi doveva venire qui a Bratto o non se ne faceva niente, e così è stato”….
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