E’ nata in una casa sul confine tra i comuni di Gorno e quello di Ponte Nossa, ma si sente nossese a tutti gli effetti perché, a cominciare dall’asilo, ha sempre frequentato il paese geograficamente più vicino . E comunque Nadia Zanotti di confini, sia geografici che mentali, ne ha superati tanti, visto che a 36 anni ha già alle spalle un bel po’ di viaggi per raggiungere Paesi lontani in cui la vita di tante persone è costantemente minacciata dalla fame, dalla guerra e dalle malattie. Nadia infatti, segnata dalla perdita del padre quand’era ancora una bambina, ha cominciato presto a dedicarsi a chi soffre: ”Dopo il Liceo Scientifico a Clusone e la Laurea in Scienze Infermieristiche all’Università di Milano, ho iniziato a lavorare nel reparto di Cardiochirugia agli –allora- Ospedali Riuniti di Bergamo. Erano gli anni del compianto dottor Parenzan, nel suo reparto di alta specializzazione si correggevano le anomalie congenite del cuore di piccoli pazienti ai quali questo intervento salvava la vita. Un’esperienza di sette anni, molto formativa, che mi ha dato, oltre che tante soddisfazioni, la solida preparazione che poi avrei portato con me dovunque sono stata”. Nadia “scopre” Emergency leggendo i libri di Gino Strada:”Un incontro importante, era il 2007 ed Emergency stava aprendo un ospedale in Sudan, dove l’assistenza medica era pressoché inesistente. Chiesi all’associazione se poteva servire una strumentista per la Chirurgia, mandai il curriculum e a gennaio fui chiamata per un colloquio attitudinale, ovviamente in inglese. A marzo partii. Non ero mai stata in Africa, fu per me l’aprirsi di un nuovo mondo e il primo mese non fu certo rose e fiori: la fatica di adattarmi ad una cultura tanto diversa da quella da cui venivo, alla mentalità che sottendeva al rapporto uomo-donna (era proibito persino salutarsi stringendosi la mano!), il fatto che l’Ospedale sorgesse in mezzo ad un deserto, il timore di non resistere alla nostalgia, di non farcela….Insomma, tante lacrime e tanti dubbi, finché dissi a me stessa che dovevo pensare solo al mio lavoro. E fu quello a ‘guarirmi’: guardare negli occhi i bambini che tornavano a vivere, chiamarli per nome, la gioia delle loro madri: sono cose che ti prendono dentro, che ti motivano ad andare avanti superando ogni difficoltà”. Del resto l’Ospedale di Emergency in Sudan è una specie di astronave nel deserto: tecnologie d’avanguardia, energia solare, tutto nuovo ed efficiente: “In effetti si poteva lavorare come a Bergamo, anche se sarebbe sembrato impossibile in un posto così. Ed era l’unico centro di Cardiologia gratuito in tutto il continente africano, gli altri curavano solo i ricchi….”
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