(An-Ca) – 5 maggio 1958. E’ un bel pomeriggio di sole e Raffaella Battista, 12 anni, come ogni giorno accompagna i suoi fratellini Franco e Roberto sulla riva del fiume, dove poi trovano sempre qualche amichetto per giocare. Raffaella è la primogenita della famiglia: quando non è a scuola, secondo un costume “normale” a quel tempo, è lei che si occupa dei piccoli di casa sostituendo la madre al lavoro nello stabilimento tessile del paese.
I bimbi giocano con la ghiaia e con la sabbia e Raffaella li tiene d’occhio. Tra gli amichetti ce n’è uno, Carlo Arena, che ad un certo punto finisce non si sa come, forse perché urtato involontariamente da un compagno, in una buca nel letto del fiume. L’acqua non è altissima ma sufficiente a far annegare il piccolo che ha solo 4 anni. Raffaella capisce subito che il bimbo non ce la fa ad uscirne da solo,e senza pensarci un attimo si lancia in suo aiuto.
“Ma non è che mi sono tuffata e mi sono messa a nuotare per raggiungerlo, non esageriamo – minimizza ora al telefono della sua casa di Milano – sono solo entrata nell’acqua e l’ho afferrato tirandolo fuori, perché avevo capito che da solo non sapeva come uscire da quella buca….”.
Raffaella rincara: “Non state a farci sopra tanti ricami, io non volevo e non voglio pubblicità, ci sono cose che si fanno perché vanno fatte e basta…Se poi sono cose che fanno del bene a qualcuno, si fanno in silenzio… Ricordo che anche allora le mie compagne di scuola e altre persone che non conoscevo mi scrissero delle belle letterine, tutti a lodarmi e a farmi i complimenti, ma quasi quasi mi davano fastidio: secondo me non avevo fatto niente di straordinario, ero solo accorsa velocemente prima che gli altri si accorgessero di quanto stava succedendo e, vedendo che respirava a malapena, gli avevo praticato la respirazione artificiale”.
Il bimbo da lei salvato, del resto, non l’ha nemmeno più visto né sentito da allora: “Mi pare fosse di una famiglia di meridionali che poco dopo si trasferirono altrove, ma non so dove. Del resto anch’io mi trasferii a Milano e non ci siamo più cercati”.
I giornali dell’epoca diedero invece grande risalto all’avvenimento, definendo Raffaella “un esempio di coraggioso altruismo”. Il “Giornale del popolo” del 5 novembre del ’59 scriveva:
“In occasione della giornata del 4 novembre a Ponte Nossa ha avuto luogo una significativa cerimonia nel corso della quale è stata consegnata una medaglia d’argento al valor civile alla giovane Raffaella Battista di 13 anni che nel pomeriggio del 5 maggio 1958, incurante del pericolo,salvava da sicura morte il piccolo Carlo Arena, di 5 anni, in procinto di affogare nelle acque del fiume Serio”.
Alle 9,30 molta folla si era radunata in via S. Bernardino in attesa dell’arrivo della Battista, gran parte della popolazione e abitanti dei paesi vicini, il sindaco Colleoni, il vicario Mons. Rota, il comandante dei Carabinieri Ruggeri e i rappresentanti delle scuole e delle associazioni combattentistiche. Dopo il corteo e la Messa, presso il monumento ai Caduti, “il sindaco elogiava l’atto generoso compiuto dalla giovane Raffaella. Dopo aver letto la motivazione con la quale il Ministero degli Interni aveva conferito la ricompensa, egli appuntava sul petto della ragazza la medaglia; dopodiché il piccolo Carlo Arena porgeva alla sua salvatrice una catena d’oro in segno di gratitudine, suggellando il gesto con un bacio”.
La vita di Raffaella però non cambia. L’anno dopo viene anch’essa assunta al cotonificio “De Angeli Frua” e ci lavora fino a 19 anni, quando sposa Giovan Battista Sainini, originario di Bienno, e con lui si trasferisce a Milano:
“Mio marito lavorava all’ospedale Besta ed io trovai un impiego al ‘Piccolo Cottolengo Don Orione’. Abbiamo avuto tre figli, Luca, Simona e Francesca, che ci hanno resi nonni più volte. Adesso ci godiamo la pensione, e chiediamo al Signore solo un po’ di salute. Quando penso al passato ricordo anche le durezze della vita di allora: bisognava crescere in fretta, comportarsi da donnine anche se eravamo piccole perché avevamo la responsabilità dei fratellini e della casa in assenza dei genitori…Quando poi si andava in fabbrica, non c’era la mamma a prepararci la colazione: si partiva all’alba con un pezzo di pane e di formaggio in tasca e via. Ma credo che tutto questo mi abbia rinforzato il carattere, aiutandomi a superare le difficoltà della vita che ci sono per tutti”.
Raffaella intercala spesso il suo italiano con qualche termine milanese e anche bergamasco: “Non l’ho dimenticato, il mio dialetto, ogni tanto lo rispolvero coi miei parenti” (il fratello Franco abita tuttora a Ponte Nossa mentre l’altro, Roberto, vive a Colzate).
Nemmeno quel lontano avvenimento di quasi 60 anni fa l’ha dimenticato. Un bel ricordo da raccontare ai nipoti, una storia della Nonna che, a differenza delle solite favole, è tutta vera.