PREMOLO Don Antonio Seghezzi, il “Padre Kolbe italiano”, e quel processo di beatificazione troppo lento 72 anni fa, il 21 maggio 1945, l’eroico sacerdote moriva nel lager di Dachau

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(An-Ca) – E’ il 21 maggio 1945: soffocato dall’ennesimo sbocco di sangue, muore nell’inferno del lager don Antonio Seghezzi, assistente della Gioventù Maschile dell’Azione Cattolica bergamasca. Imprigionato nel ’43 dai Tedeschi, più volte interrogato e torturato nel corso di una lunga “via crucis” per la sola colpa di aver voluto assistere, spiritualmente e non, i “suoi” giovani che avevano optato per la resistenza, era infine stato deportato in Germania dove, prima del campo di sterminio di Dachau, aveva conosciuto le carceri di Monaco, Ehisheim e di Lopsingen.

Sui nomi dei suoi “figli” partigiani e sui luoghi in cui operavano non si era mai lasciato sfuggire nemmeno la minima informazione, neanche nei momenti di sofferenza più atroce; e nonostante già soffrisse di una grave malattia polmonare, anche nel “lager” aveva instancabilmente praticato il suo ministero sacerdotale edificando tutti con il suo spirito di fede e di carità. Gli Alleati arrivarono a Dachau pochi giorni prima, in tempo per seppellire il martire bergamasco, le cui spoglie vennero riportate in Italia 7 anni dopo, dove, a Bergamo ed a Premolo, una folla incredibile seguì i suoi solenni funerali.

Era un santo – scrisse il suo Vescovo, Adriano Bernareggi commentandone l’eroica scomparsa – io piango in lui la perdita di uno dei migliori sacerdoti della Diocesi, una delle maggiori speranze per la conquista della gioventù disorientata e sbandata dalla guerra”.

Per lui – definito da molti “il Padre Kolbe italiano” – fu aperta il 4 maggio 1990 la causa di beatificazione, in parallelo ad un altro processo simile che riguarda una sua zia, Suor Gesuina Seghezzi, Vicaria Generale delle Orsoline di Gandino, esempio luminoso anch’essa di grandi qualità umane e religiose messe al servizio dei bambini, degli anziani e degli ammalati affidati alle sue cure.

L’inizio del processo di beatificazione era stato caldeggiato dal gruppo di giovani “Don Antonio Seghezzi” che si era costituito a Premolo nel nome del “santo della Resistenza bergamasca” e nell’’85, nel 40esimo della sua morte, la comunità gli aveva dedicato il monumento all’ingresso del paese: da lì don Antonio sembra salutare con un sorriso quanti raggiungono – o lasciano – la sua “piccola patria”, alla quale spesso tornava col pensiero, dedicandole pagine di diario intrise di tenerezza e di affetto. Quello stesso diario di cui alcune pagine – non tutte, purtroppo –sono contenute in una biografia stesa da Giorgio Longo col titolo significativo “Io sono tutto un dono”.Perché è in questa totale dedizione che ci pare vada letta la vicenda di don Antonio, culminata in un’estrema offerta di sé come esito coerente di un’esistenza fattasi “dono”, appunto, per tutti, ma soprattutto per i suoi giovani, amati e protetti sino alla fine.

Dal 2006: le sue spoglie riposano nella cripta ricavata nel sottosuolo della chiesa parrocchiale di Premolo, una costruzione in cui la pietra chiara e quella scura si alternano con un effetto gradevole, mentre i pieni ed i vuoti, con i vetri colorati delle finestre, collaborano a creare un’atmosfera raccolta in cui i giochi di luce hanno una loro sapiente simbologia.

Fiaccolata e S. Messa al “Luogo della Speranza”

Per ricordare degnamente la figura di don Antonio Seghezzi nel 72esimo anniversario della scomparsa, la Parrocchia ha già pronto il programma delle celebrazioni:

Sabato 20 maggio ci sarà la solenne benedizione della nuova immagine che verrà collocata sul monumento all’ingresso del paese – dice il parroco don Gianluca Colzanimentre il 22 seguiranno una fiaccolata ed una solenne S. Messa di suffragio presso il ‘Luogo della Speranza’, sopra il paese, l’amena radura tra prati e boschi dove don Antonio amava ritirarsi per pregare e meditare”.

Quanto alla causa di beatificazione, l’iter aveva subito una battuta d’arresto nel 2004, quando la Commissione appositamente nominata dalla Congregazione Romana per la Causa dei Santi espresse dubbi circa il martirio del venerabile Don Antonio Seghezzi, dubbi da chiarire dal punto di vista storico partendo dalla realtà della Resistenza bergamasca, cui Don Antonio non aveva partecipato in modo attivo, ma soltanto sostenendo spiritualmente i suoi giovani. I postulatori, don Tarcisio Tironi in testa, stanno insistendo, anziché sull’”eroicità delle virtù”, sul concetto di “martirio” ”, approfondendo la questione della consegna spontanea di Don Antonio alle autorità tedesche: strada che appare la più congrua perché è la più rispondente alla verità. Strada comunque lunga ed irta di ostacoli, anche perché molti dei giovani che il sacerdote aveva assistito, testimoni al processo diocesano dall’’89, sono venuti a mancare. E forse è questa è anche la ragione per cui sono diminuiti i pellegrinaggi a Premolo, organizzati e guidati dagli ex-giovani, appunto, che tornavano a trovare il loro Don Antonio.

Certo è comunque che la lentezza del processo di beatificazione continua a suscitare perplessità e rammarico sia tra i fedeli che tra i compaesani, perché la dedizione e la passione pedagogica per i giovani non è ancora stata recepita e raccolta nella sua radicalità evangelica.

Anche perché sarebbe forse doveroso chiedersi quali occasioni di riflessione, di formazione, di arricchimento spirituale vengano offerte, nei nostri paesi, ai giovani di oggi e soprattutto quali esempi di coerenza tra i valori cui si dice di credere e le scelte concrete di tutti i giorni. Chiedersi insomma se alla base di tanto cosiddetto disagio giovanile non ci sia il rarefarsi di figure luminose ed esemplari come quella di don Antonio Seghezzi.

 

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