Che Mario Rota fosse una delle (poche) voci veramente significative della poesia in lingua bergamasca l’abbiamo sempre sostenuto, e l’ennesima conferma arriva da Gromo, dove si è aggiudicato la quarta “Penna d’oro” della sua lunga carriera, durante la quale ha spesso fatto incetta anche di secondi e di terzi premi. Una sorta di ritorno alle intenzioni originali del fondatore e presidente della Giuria del Premio stesso, Giacinto Gambirasio, che negli anni ‘50 aveva voluto il concorso gromense esclusivamente riservato alla poesia dialettale bergamasca, prima che diventasse aperto alla “ lingua lombarda” la quale, secondo il parere di autorevoli studiosi come Silverio Signorelli, semplicemente “non esiste”.
E’ una poesia popolare, quella del Rota, nel senso che è ispirata dall’entroterra culturale in cui vive e con il quale si confronta da sempre, un ‘humus’ che il poeta coglie attento ad ogni sfumatura: a volte con la malinconia di una vena lirica struggente; a volte con l’arguzia del tratto faceto e della battuta ironica; ma sempre con quell’’intelligenza del cuore’ che è una scelta etica prima che culturale….
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