Campionato italiano di regolarità. Un evento di quelli con tutte le carte in regola per lasciare il segno. Perché è nel segno di Ciro de Petri, che basta sentire il nome per sognare la Parigi Dakar dei tempi d’oro. “Un evento davvero importante – commenta il sindaco di Rogno Cristian Molinari – che parte da Rogno, de Petri è sinonimo di avventura, di sfida e anche di morte, erano gli anni in cui la Parigi Dakar era ovunque, su tutte le tv, in tutte le case, e questa gara è una manifestazione a livello italiano unica, in un momento in cui il virus è riesploso, l’allerta è alta, riusciamo a fare la gara perché si corre su strada libera rispettando le norme, faremo premiazioni a distanza. Un messaggio importante per noi, significa non chiudersi in casa, non avere paura, quel senso di libertà contro cui il virus non può fare nulla, rimanere liberi rispettando le regole”. Quella libertà che Ciro de Petri ha sempre avuto nel dna, anche quando si ritrovò in un letto d’ospedale in coma dopo un incidente tremendo, 6 ottobre 1992, quaranta giorni di coma, alla sua Yamaha si era rotta la ruota anteriore e lui era volato a 150 all’ora con la faccia nella sabbia. Quando i medici francesi dell’organizzazione lo trovano, è in fin di vita. Alessandro De Petri, detto “Ciro” per il suo nasone alla Cirano, è tornato in moto neanche troppo tempo dopo, perché lui la moto ce l’ha nel dna. Ciro ha iniziato con il Cross, in sella ad un vecchio Ancillotti datogli dall’amico Dante Sberna. Ha 15 anni e alle spalle un anno di Gimkana con un Malaguti Cavalcone 50. L’anno dopo ha un’Aspes ufficiale, è il 1972. Glielo prepara Felice Agostini, il fratello di Giacomo. Ciro non ha uno stile pulito ma è un tosto, non molla mai, dove c’è fango, dov’è difficile, ci mette la forza di un toro, la testa di un folle e va avanti…
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