MONTI DI ROGNO – Giulia e i suoi bimbi in fuga: “Ammassati su un treno, senza niente, non volevo venire in Italia ma qui ho trovato tutto. Mio marito sotto le bombe…”. Marina: “I miei fratelli in Siberia dicono che sono una spia per l’Italia….”

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Gli occhi di Giulia sono grandi, come il cielo d’Ucraina, che se lo guardi sembra non finire mai e poi ti accorgi che è come il nostro, che è il nostro, lo stesso cielo. Gli occhi di Giulia sono verdi, come i prati d’Ucraina, immensi, il granaio d’Europa, poi ti accorgi che è lo stesso verde dei nostri prati. Gli occhi di Giulia sono spaventati, molto meno dei nostri. Giulia ha 31 anni, arriva dalla zona di Dnipro, Ucraina orientale, con lei Daniel, che compirà 14 anni ad agosto ed Eva che di anni ne ha 12. Da soli sono arrivati in Italia fuggendo dalla guerra, come tanti, tantissimi, non erano mai usciti dall’Ucraina prima di adesso e Giulia non si era mai staccata da suo marito prima di ora, 17 anni insieme, per chi ne ha 31 di anni è più di una vita. Giulia e i suoi bimbi sono qui a Monti di Rogno, che man mano che sali per arrivarci sembra di infilarsi dentro quelle nubi di panna bianca e farsi portare in Paradiso. Salgo da Rogno, tornanti, la montagna che si are ad accogliere chi passa da qui, poi la frazione di Castelfranco, qualche chilometro dopo San Vigilio, una frazione di poche decine di abitanti, ma ogni frazione qui ha la sua chiesa, un centro storico e soprattutto un’anima e poi lassù, in cima, Monti di Rogno, a ridosso del cielo. Subito dopo la piazzetta si arriva al Cear, (Centro di Educazione ambientale residenziale) dove c’è Fabrizio, un ragazzone alto due metri, con un cuore altrettanto grande, che gestisce la struttura insieme a sua moglie. Qui, da qualche settimana, vengono ospitate donne ucraine e i loro bambini, una sorta di ‘cuscinetto’, qualche settimana qui, giusto il tempo di fare i documenti, i controlli sanitari, di ambientarsi con la nuova realtà e poi vengono affidati a famiglie della zona. Per parlare con Giulia abbiamo bisogno di un interprete, Marina, 70 anni, arrivata in Italia 20 anni fa per fare la badante, papà Moldavo e mamma Russa. Giulia in realtà qualche parola di dialetto la dice, soprattutto ‘pota’ e poi sorride. “Avevano cominciato a bombardare vicino a noi – comincia a raccontare Giulia attraverso l’interprete – e così abbiamo deciso di partire, di scappare. Mio marito è rimasto là, non combatte, almeno per ora, ma aiuta a sistemare la difesa in città, riempie i sacchi di cemento per creare barriere e impedire ai russi di entrare, lavora per la protezione della città”. Quando parla di suo marito a Giulia brillano gli occhi verdi, diventano umidi, poi Fabrizio, che è lì vicino a lei, la fa sorridere con le sue battute “Gli allarmi continuavano a suonare – continua Giulia – si sentivano bombardamenti in continuazione, avevamo paura, siamo partiti senza prendere niente, scappati solo con i documenti. Siamo andai alla stazione del treno di Dnipro, c’erano migliaia di persone, tantissime persone disperate come noi. Erano le 11 del mattino quando siamo arrivati al treno, siamo rimasti li schiacciati in fila e siamo riusciti a salire solo alle 22 di sera. Siamo arrivati in Polonia dopo ore di viaggio ma io pensavo di fermarmi lì, di aspettare che finisse la guerra, pensavo durasse pochi giorni e poi tornare a casa ma non era così. I volontari italiani ci hanno portato in Italia, io ero spaventata, non volevo partire, fossi stata da sola sarei partita ma con i bimbi no, non sapevo cosa mi aspettava, non capivo più niente, volevo solo pace, tranquillità. Sul treno eravamo più di 1000 persone, tutti schiacciati uno sull’altro, erano sdraiati anche sopra il treno, appesi ovunque. Pensavamo di fermarci in Polonia, e poi tornare a casa, in Italia non volevo andare, non conoscevo nessuno, non sapevo la lingua. Ma per fortuna sono venuta qui”.

IL VIAGGIO SENZA NIENTE: “L’ULTIMO MESSAGGIO DEL MIO AMORE”

I volontari li portano in Italia, Giulia non se ne rendeva conto, aveva solo paura, per i suoi figli, per lei, un futuro pieno di nebbia davanti e il suo amore che rimaneva lì, a difendere il suo paese. I volontari riescono a convincerla a seguirli, a mettersi in salvo: “Per me l’Italia era sempre stata un sogno ma non in questo momento, ci sarei voluta venire con la mia famiglia, invece stavo fuggendo, per fortuna mi hanno convinta perché qui ho trovato la pace che non avevo da giorni, ho trovato grandi cuori ad accogliermi”. Giulia arriva a Brescia, insieme ad altri profughi, poi da Brescia viene mandata qui a Rogno, grazie ai volontari e al sindaco Cristian Molinari e alla disponibilità di Fabrizio e della sua famiglia: “Sono arrivati loro – spiega Fabrizio – poi un’altra mamma con una bimba di un anno e mezzo e un’altra mamma con il bambino. Qui di sopra abbiamo stanze per ospitare parecchie persone, una sala per giocare, una per mangiare, poi qui di sotto noi ogni giorno facciamo ristoro e ristorante” e qui a dispetto dei 70 residenti, di gente ne passa davvero tanta, escursionisti, motociclisti, famiglie, in mezzo alla natura e con una vista mozzafiato. Appena dietro il Cear c’è anche il sentiero che porta al rifugio Magnolini e al Monte Pora. Tuo marito vive ancora in casa o ha dovuto lasciare il paese? “Per ora è ancora lì, ma i bombardamenti si sono intensificati, mi dice che tremano sempre muri e finestre”. Che lavoro facevate prima della guerra? “Io ho lavorato per 10 anni in un ristorante come cameriera, poi mi sono occupata della parte amministrativa del ristorante e mio marito invece era cuoco”. Giulia e suo marito si sentono tutti i giorni: “Tante volte al giorno, e ogni volta che c’è un allarme aereo poi lui mi chiama per farmi sapere che è vivo, che è andato tutto bene ma io resto qui con l’angoscia”. Cosa vi siete detti quando sei partita? Giulia si commuove mentre parla: “Siamo rimasti insieme dalle 11 del mattino sino alle 22, quando è partito il treno, per tutto il giorno abbiamo cercato di scherzare con i nostri figli, per tenerli tranquilli, per fargli vivere la cosa in modo sereno, ma dentro di noi avevamo tanta angoscia, poi quando ha visto che c’era spazio per farci salire, c’erano delle transenne e gli uomini non potevano oltrepassarle, mi ha spinto dentro di colpo, altrimenti non saremmo più partiti, mi ha baciato e poi ci ha spinto dentro. Appena seduta sul treno mi ha scritto che mi voleva bene, che tutto sarebbe finito presto e che saremmo tornati insieme tutti e quattro”.

“Ogni volta che bombardano mi scrive che mi ama”

 Giulia si ferma, si commuove. Poi ricomincia a raccontare: “Ogni volta che suona l’allarme e bombardano mi scrive che mi ama, me lo scrive sei o sette volte al giorno, ogni volta che finisce l’allarme, siamo insieme da 17 anni e non ci siamo mai lasciati, è la prima volta che siamo lontani”. Come la stanno vivendo i bambini questa cosa? “Là andavano a scuola in dad per il covid, poi dal 24, quando è scoppiata la guerra, basta scuola, abbiamo cercato di farglielo vivere come un’avventura e per ora ci siamo riusciti, per loro è tutto nuovo, e per fortuna qui sono sereni e stanno bene”. Sei partita senza niente: “Un cambio, il dentifricio e poco niente”. Giulia e i suoi figli sono stati i primi a partire tra i suoi amici e conoscenti: “Avevano tutti paura a mettersi in viaggio e poi speravano tutti durasse pochi giorni la guerra, io invece d’istinto sono partita, dovevo mettere in salvo i miei figli, adesso mi scrivono e sono impauriti, vogliono scappare tutti ma ora è molto più difficile e pericoloso”. Tuo marito può essere chiamato a combattere? “Dipende come vanno le cose, se serve sì, dipende tutto da come si evolvono le cose”. Tu avevi amici russi? “Sì, tanti, quando è cominciata la guerra però sono cambiati, dicono che quello che ci stanno facendo non è vero ma è tutta colpa di Putin e della sua propaganda (la parola ‘propaganda’ Giulia e l’interprete Marina la ripetono spesso), una propaganda che ha fatto il lavaggio del cervello ai russi, danno la colpa a noi ucraini, ho chiuso ogni rapporto con loro”. Marina, l’interprete interviene: “Io sono moldava e siamo vicinissimi all’Ucraina, abbiamo paura, perché se cade l’Ucraina poi tocca a noi. Ci siamo liberati lo stesso anno, nel 1991, siamo indipendenti e vogliamo rimanere indipendenti”. Ma Marina racconta anche altro: “Noi siamo in 8 fratelli, io sono la prima e gli altri miei fratelli ora vivono in Russia ed è una tristezza, una disperazione, loro sono vittime della propaganda, i miei fratelli credono a tutto quello che dice Putin, per loro Putin è Dio, dicono che io dico bugie, che sono una spia pagata dall’Italia, mi hanno cancellato dalla loro vita, dai social, da tutto, mi era rimasta una sorella con cui parlare ma anche lei quando è cominciata la guerra non mi parla più, abbiamo litigato…

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