Bisogna fare un salto indietro di 27 anni, il 15 aprile 1997, quando sette Comuni dell’altopiano e della Conca della Presolana fondano la società “Se.t.co” (giocando sul numero sette e nella versione dialettale del “co” che sta per Comuni ma anche per “testa” nella traduzione dal dialetto). La necessità era quella della raccolta e smaltimento dei rifiuti. Poi (2009) la si è ampliata a società cui affidare servizi pubblici. Poi la legislazione ha imposto che entrassero in quota minoritaria ma obbligata dei privati nelle società di smaltimento rifiuti e nel 2011 la Setco ha dovuto costituire una società apposita, la G.Eco S.r.l. dismettendo quindi il core business, quello dei rifiuti. La G.Eco infatti nel 2013 ha creato una società mista pubblico-privato e quindi il controllo è passato a una società del gruppo A2A.
Qui sono cominciate le difficoltà per la Setco, perché la legge Madia (2015) imponeva che una società pubblica dovesse avere un fatturato annuo di almeno 1 milione (3 milioni nel triennio). Quindi si è tentato di allargare il campo dei servizi alla “produzione di energia da fonti rinnovabili e interventi di efficientamento energetico”.
È il 18 dicembre 2017 che si crea la Se.t.co holding S.r.l. con 29 comuni aderenti con quote bassissime, tranne i fondatori, Clusone (32,70%), Castione (25,6%) e Rovetta (poco più dei 12%) con quote che praticamente controllano la società. Da cui nasce nel 2019, come controllata al 100%, la Setco Servizi S.r.l. Due società, due amministrazioni, la “mente” e il “braccio”. Il problema che si raddoppiano anche i costi.
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