E’ morto Sinisa Mihajlovic. Io da piccola pensavo che i duri non morissero. Non quelli come lui. Che con quel sinistro potente e preciso possono tirare giù tutto, anche la leucemia. E così non vale. Così come non vale esonerarlo a pochi metri da una nuova strada, da un’altra parte. Non valgono tante cose qui sulla terra. Ma che poi magari qui sulla terra le cose importano poco. E ognuno di noi ricorda quelle che per noi contano qualcosa, anche se quel qualcosa si fa misero di fronte al resto. Io ricordo il suo gol, marcatore più anziano del campionato nell’Inter, Ascoli Inter, 8 aprile 2006, 1-2, segna il gol a 37 anni e 47 giorni, con l’Inter vince due Coppe Italia e uno scudetto. Poi se ne va. Come era arrivato, con quell’aria da duro che può tutto. Poi nel 2019 la leucemia, combatte, come sempre, il trapianto, il ricovero, le dimissioni, di nuovo in ospedale. L’ultima estate, uscito nuovamente dal Sant’Orsola, volle presenziare al raduno della squadra. C’erano circa 35 gradi, quel pomeriggio. “Chiese una sedia, si mise all’ombra, cominciò a parlare. Credevo cascasse per terra da un momento all’altro”, confessò giorni dopo uno dei medici. Lo scorso autunno, nel 2021, aveva affittato un vecchio ex casolare sui colli per festeggiare, con il Bologna e tanti amici, compreso Gianni Morandi, quello che chiamava il suo secondo compleanno, “perché sono nato due volte, la seconda è il giorno in cui ho fatto il trapianto”. Ora rinasce la terza volta. Da un’altra parte. Con un pallone blu su campo da gioco di nuove bianche e il suo sinistro imprendibile.