Nel coro, prima della Messa, lo zio don Pierì teneva la “meditazione” mattutina (prima che il gallo cantasse…) a tutti i seminaristi tavernolesi. Eravamo almeno una ventina. Questo durante i mesi estivi o nelle vacanze natalizie. Un “coro” composito. I “sacramentini” erano invidiati da noi “diocesani” perché avevano già la “veste” con una fascia e lo stemma dell’ostensorio sul petto, quando ancora noi cercavamo di indossare un segno che ci… distinguesse dal popolo fedele (in genere calze nere che mia zia Rina odiava, avendomi comprato calze a quadrettoni eleganti). Giuliano era appunto un “sacramentino”, come suo fratello Gianni. Abitavano in una casa che segnava l’inizio della salita della mulattiera verso Cambianica, la casa dei “Luna”, che era un porto di mare, rumorosa e accogliente per tutti. Appena più in là c’era la villa delle sorelle Sandrini che si erano sforzate di insegnarmi a suonare il pianoforte. Un saluto alla grande famiglia dei “Luna” e poi su per l’acciottolato verso Cambianica. In Cornola c’era la casa di Fabrizio che adesso nel coro indossava già il saio, anche lui quindi… invidiato. Ci ero passato un giorno che andavo per cicorie con Ernesta “Capa” e ci avevano offerto una fetta di torta fatta in casa, perché la gente di lago è così, se entri in casa si offendono se non accetti qualcosa da mangiare e da bere. La torta non era uscita benissimo e Fabrizio ha intuito l’imbarazzo e ci ha detto: “La somèa merda ma l’è bùna”. Era buona.
Poi ci si è persi e si è invecchiati, chi ha proseguito e chi ha preso altre strade. Un giorno in redazione mi è arrivato un messaggio di Giuliano. E come direbbe Jannacci “E mì, m’è vegnuu in ment tutta l’infanzia”. Certo, negli anni avevo avuto molte occasioni di incontrare suo fratello maggiore Valentino, di sentire in altre occasioni (anni dopo) Natale, il più piccolo della nidiata, che era stato sindaco di Tavernola. E proprio con Giuliano ci siamo scambiati opinioni sul futuro del paese, lui diventato “forestiero” come lo ero ormai diventato io. Ma Tavernola ti resta dentro, mia madre tavernolese, su al cimitero avevo i “miei” morti e Giuliano aveva ancora molti componenti della sua grande famiglia.
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