Ho ricevuto sabato 15 la notizia della morte della signora Agostina Bettoni, a suo tempo bidella della locale scuola media, ed ho subito pensato di scrivere queste due righe di ricordo: due righe sono poche, per i meriti della signora, ma le faccio bastare cercando di dire le cose più importanti.
Era sposata e aveva due figli, alla cui educazione si dedicava con passione, quando era venuto a mancare il marito Sandro Bettoni. La misera pensione con la quale era stata liquidata l’aveva costretta a lasciare il suo lavoro di sarta e a dedicarsi a selezionare e imbustare delle calze di nailon presso una piccola fabbrica del paese. Ma la precisione con cui sceglieva e ripiegava le calze la rendeva sempre in ritardo rispetto ai tempi “tecnici” della fabbrica nonostante l’aiuto e i consigli che le venivano da una compagna sensibile.
Allora pensò di fare domanda in Provveditorato agli Studi per avere un posto come bidella e, contrariamente alle attese, fu subito incaricata presso la scuola “Caffi” di Bergamo. Andò quindi in quella scuola e prese servizio, ma dopo pochi mesi il figlio Franco, che a 15 anni si “sentiva grande” e non aveva voluto proseguire gli studi per i quali era portato, fu vittima di un grave incidente sul lavoro: una macchina che stava aggiustando, inserita nella corrente elettrica da un compagno, gli afferrò e distrusse il braccio destro.
Per Agostina incominciò un periodo pesante: al mattino a Bergamo a scuola e al pomeriggio in ospedale accanto al figlio e tutto senza trascurare la casa e la figlia ancora piccola. Quando Franco tornò dall’ospedale e si sottopose al recupero del braccio, che non riprese mai vita, e a imparare a lavorare e scrivere con la mano sinistra, accolse il consiglio di iscriversi alle scuole superiori e così fece iscrivendosi alla Ragioneria.
Agostina intanto aveva ottenuto il trasferimento vicino a casa, e cioè presso la scuola media di Predore, e aveva preso a lavorare con impegno in particolare dedicandosi ad aiutare una ragazza handicappata iscritta (quest’alunna poi si “innamorò” della bidella e ne frequentò a lungo la casa).
Chiesto in seguito (e ottenuto) il trasferimento a Tavernola, si inserì serenamente nel contesto scolastico lavorando con impegno senza mai lamentarsi: diceva alle colleghe (alcune delle quali si lamentavano per piccole disfunzioni): “Ma non vi rendete conto della fortuna che abbiamo a lavorare fuori dall’uscio di casa, con gente educata e istruita – i professori – e con gli alunni che potrebbero essere i nostri figli?”.
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