Tra la gente e l’Atalanta, storia di un amore infinito: “La bandiera ‘Martino’ De Roon, Luca e la borsa piena di gadget, Djimsiti in versione Van Basten”

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Luca Mariani

«Ma dove sono poi restati!» In un dialetto schietto e determinato una donna in canottiera blu-notte attraversata da sottili linee bianche orizzontali esclama il suo disappunto per il ritardo nell’inizio allenamento dell’Atalanta Bergamasca Calcio.

Sono le 17.44 di martedì 18 luglio 2023. Sul campo verde in erba perfettamente pettinata dello stadio san Lucio di Clusone ci sono solo i riccioli di Cristian Raimondi, il cappellino con visiera frontale di Tullio Gritti e altri due componenti dello staff in maglietta blu con maniche nere.

La seduta programmata per le cinque e mezza inizia con più di un quarto d’ora di ritardo, tra un brulicare di chiacchiere della gente assiepata nel rettangolo d’ombra offerto dalla copertura in legno che sovrasta la tribuna.

Questo rumore soffocato dal grande caldo che colpisce anche Clusone e il suo altopiano si scioglie in un applauso spontaneo quando dal cancello in ferro appare l’inconfondibile capigliatura ormai canuta di mister Gasperini, malcelata sotto un cappello nero identico a quello del suo vice. Dagli spalti una voce baritonale e matura cerca di lanciare il coro “Gasperini eh eh, Gasperini oh oh” ma nessuno lo segue. Dopo nemmeno una strofa si riaccomoda nel suo silenzio. Il Mister sorridente risponde al pubblico con un semi-inchino a mani giunte.

Dietro il Messia neroblù arrivano alla spicciolata tutti i suoi ragazzi. I bambini rigorosamente vestiti dai colori ufficiali dell’Atalanta si ammucchiano contro il parapetto metallico che divide gli spalti dal campo di gioco. Le loro voci bianche cercano di attirare l’attenzione dei loro beniamini che ringraziano e ricambiano i saluti con ampi gesti delle mani.

Magro, biondo, slanciato e con indosso la maglia bianca da trasferta della prossima stagione, fresca di acquisto, ma già marchiata dagli autografi in pennarello nero di tutti i membri della rosa atalantina. Lui è il bambino più ammirato e imitato tra gli infanti assiepati a bordo campo perché per attirare l’attenzione dei suoi idoli utilizza il loro nome di battesimo, dimostrando una preparazione superiore a tutti gli altri suoi coetanei urlanti.

Ultimo a calpestare il manto erboso in stile biliardo è la bandiera De Roon, che sfila davanti alla tribuna corricchiando e applaudendo a mani basse. I tifosi lo acclamano con forti battiti di mani e lo salutano come fosse un loro amico di vecchia data, chiamandolo con il suo nome italianizzato: “Dai Martino! Bravo Martino!”

I collaboratori del Gasp distribuiscono le pettorine rosa-fluo e bianche. La squadra viene divisa in tre gruppi. Ha inizio l’allenamento. Tra i seggiolini in plastica rossa scolorita e i gradoni di grigio cemento torna un sostanziale silenzio carico di curiosità e rispetto. La fila al bar si scioglie. Poche le birre. Molti più sono i ghiaccioli variopinti e le lattine rinfrescanti con cannuccia.

Accovacciato nella parte alta della tribuna c’è anche Emilio che ammette senza fronzoli: «Anche se abito qui dietro, in tanti anni che c’è l’Atalanta in alta valle è la prima volta che vengo a vederla.»

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