Tutti gli uomini (e soprattutto le donne) del Festival di Araberara a Lovere

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Cantautori, giovani, meno giovani, teatro, ironia, comicità, giornalismo, musica, parole, rumore, silenzio, paura, gioia, casino. Lo volevamo così. È andata così. Che il mattino dopo Etta ha dormito sul divano di casa mia, il gatto non l’ha presa bene e miagolava infastidito. Angelo è partito all’alba per Orio al Serio a portare i musicisti di Finardi. Con Francesco ci siamo visti alle 8.30 in piazza XIII Martiri a caricare le sedie da riportare all’oratorio di Sovere. Sabrina era in redazione prestissimo come sempre cercando di capire da che parte ripartire. Piero ha tirato le 3 di notte e alle 9 ci cercava per fare colazione insieme.

Cronaca di una mattina post festival di 3 giorni dove ci abbiamo messo dentro un po’ troppo di tutto. Ognuno ha preso il bello e il brutto di tutto, io ho trovato bello quello che molti hanno trovato brutto e viceversa.

Volevamo un festival così, perché se è un festival senza confini non doveva nemmeno avere confini sulla proposta. Quindi dalla follia e antipatia di Massimo Bubola che però quando ha cantato alcuni brani che hanno fatto la storia della musica ha fatto respirare incanto, all’ironia tagliente e nonsense di Gene Gnocchi sulla politica italiana.

Dalla voce di Fabrizio Faber Paletti ai Kerouac 7 con melodie della route 66, da Ferruccio de Bortoli e Giorgio Gori che hanno massacrato i talk show al concerto rivoluzionario di Eugenio Finardi che ha riarrangiato i suoi capolavori per pianoforte, dalle parole toste di Valentina Soster alle 12 donne tostissime del calendario delle donne col cancro al seno.

In mezzo noi. Curiosi come sempre di vedere quello che ci poteva e poteva succedere. Ed è stato come fare un giornale, a ognuno è piaciuto o non piaciuto qualcosa che è piaciuto o non piaciuto ad altri.

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