VAL DI SCALVE – STORIA DI UN DISASTRO ANNUNCIATO/7b – Ma fu vera colpa? La drammatica testimonianza di Virgilio Viganò nel carteggio inedito (1924-1928)

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di Agostino Morandi

Il carteggio di Virgilio Viganò riprende il 24 gennaio 1925: diventa insistente l’accenno al comportamento dei «grossi industriali»: «(…) Il processo è stato nuovamente rimandato anche contro la volontà dei giudici e specialmente dei grossi industriali che volevano assolutamente farlo e da quanto ho sentito dire, affinché si rompessero le trattative fra noi e i piccoli danneggiati e per poter fare quello che accomodava a loro, specialmente per poter portarci via l’impianto del Gleno. Benché malignamente fanno pubblicare su qualche giornale che loro con nobile gesto spontaneo si postergano ai piccoli danneggiati spero che in Valle avrete ben capito che non è così e che loro mirano più specialmente ai loro interessi (…)».

Qualora gli fosse possibile avviare direttamente le trattative con i piccoli danneggiati, Viganò è certo che «restando io in Valle me ne ricorderei sempre ed aiuti si possono sempre dare in avvenire sia a privati che per opere pubbliche».

Nella stessa lettera Vigano dichiara di essere disposto a far eseguire gratuitamente il progetto per la nuova chiesa di Bueggio: «…e così in seguito, se la causa ci va bene, con un po’ di volontà vostra e aiuto mio la chiesa l’avrete di sicuro e a vostro piacimento molto più presto (…)».

Quanto all’aiuto promesso per la nuova chiesa, nella successiva del 31 gennaio 1925, Viganò conferma le proprie promesse: «(…) La cosa sarebbe stata semplicissima se non fossimo stati allontanati così odiosamente dalla Valle (…) se in Valle si persuadessero che sbagliano a continuare a mettersi contro di me: “così fra i due litiganti il terzo gode” ed il Governo non fa niente (…)».

Insistente è la richiesta di poter trattare direttamente con i piccoli danneggiati, ma con il sequestro in atto sono proprio loro che «(per l’ingordigia dei grossi che vogliono portarci via tutto) ne soffro-no». Nella seconda metà del febbraio 1925 i «piccoli danneggiati di Dezzo e di Bueggio», accompagnati dall’Avv. Marino Mai, hanno un incontro con Virgilio Viganò: egli invita il suo confidente di convincerli a fidarsi della Commissione ristretta:

«(…) Il nostro patrimonio è quello che è, come è stato controllato dall’autorità giudiziaria e dagli avvocati; e per venire ad un amichevole componimento non potete pretendere di ridurci alla miseria. D’altra parte, ci sono anche i grossi industriali e le Provincie che continueranno a farci causa e quindi non permetteranno di toglierci il sequestro. (…) Siamo stati anche noi a Roma e tutt’ora vi sono degli incaricati; vi è stato un po’ di ritardo per la malattia di Mussolini e De Stefani».

L’accordo con i piccoli danneggiati non viene definito ed il 21 luglio 1925 Virgilio, sull’orlo dell’esasperazione scrive a don Chiappa, parroco di Bueggio: «(…) Sotto un sequestro che ci tiene immobilizzati; dopo tutto quello che abbiamo perso col disastro del Gleno, noi veramente abbiamo dovuto stendere la mano alle banche con gravissimi sacrifici anche per poter elargire i sei milioni ai piccoli danneggiati (…) ma che però speravamo fossero ricevuti con migliore accoglimento. Con tutto ciò non avrei mai ricusato di fare altri sacrifici anche per il decoro di quella religione che con convinzione professo. Ho dovuto invece constatare che qualcuno ha cercato di approfittare delle mie lettere (mandate in Valle al fine altissimo di un riavvicinamento) per cercare se qualcosa mi potesse compromettere e poter strapparmi ciò che non devo, (…) Come molte volte ho detto ripeto che con tutta probabilità se invece della lotta accanita ci avessero acconsentita la via amichevole a quest’ora tutto sarebbe stato appianato (…): Ci hanno voluto assalire, è pur lecita la nostra difesa specialmente perché in coscienza e apertamente ci riteniamo noi pure fra le vittime maggiormente danneggiate».

Il 15 ottobre 1925 Virgilio scrive al suo confidente: «Dal procuratore del Re vengo informato che si vorrebbero distruggere l’esplosivo che ancora si trova in polveriera trovandola pericolosa. Poiché mi sembra che la dinamite sia già stata tutta levata per ordine, a suo tempo, dai dirigenti le squadre di soccorso ai primi giorni dopo il disastro, così mi sembra strano che dopo due anni si pensi a questo».

***

Dopo oltre cinque mesi di silenzio, Viganò vuole avere notizie sugli ultimi avvenimenti. La lettera è del 5 marzo 1926: «(…) c’è ancora molta neve in Gleno sulla diga e nel piano?

Hanno distribuito i danari? Sono soddisfatti? Cosa dicono dei lavori dell’impianto a lasciarlo lì senza immetterlo in energia?».

Alcuni giorni dopo, il 13 marzo, Virgilio osserva che «se al Tribunale di Bergamo ed il Procuratore del Re sapessero che in Valle desiderano che si rifacciano i lavori perché hanno bisogno di lavorare forse si sbrigherebbero al più presto. Da parte mia poi io potrei sollecitare la cosa se fossi sicuro di essere ricevuto in Valle. Non voglio certo ritornare in Valle senza essere pienamente rispettato».

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