di Lucio Toninelli
Piazza Dante, a Gromo, in Valle Seriana. Sono seduto su uno dei sei ‘paracarri’, posti a salvaguardia della neoclassica fontana di marmo bianco, del cigno. Al riparo dai carri, giustamente. Che altro poteva minacciarla cinque secoli fa?
Guardo la piazza, respiro medioevo, fino a intossicarmi e a immedesimarmi in quella vita remota della quale siamo figli. Questo è Gróm, il grumo medioevale ma anche rinascimentale, di Gromo…
“Gromo era un grumo, ora è un uovo al tegamino. L’ era ü Gróm, l’è dientàt ü ciarighì sguaràt” – è una voce fuori campo ad interferire con i pensieri.
“Ma chi parla? E comunque spiegati meglio!” – chiedo, o immagino di chiedere.
“Ma di quale Medioevo parli, furestér? Il medioevo è il tempo storico più elastico e più lungo della storia scritta: mille anni e più. Come se non avessimo testimonianze, tracce, evidenze che quel tempo, in realtà, contiene vicende, culture e protagonisti tanto diversi fra di loro, quanto i Sumeri e gli Aztechi”.
“È vero – dico, ma non so a chi – È un tempo che contiene Boezio, Gregorio Magno e Carlo Magno, Dante, Federico II e suo nonno il Barbarossa, e S. Tommaso… E san Francesco e il Savonarola: santo uno, eretico l’altro”
“Sì, sì, – conviene la voce, ma non sembra impressionata dalla mia cultura – Che poi a dividerli era solo la minuzia di un gesto di sottomissione o di arroganza… Un tempo complesso”.
“Forse sarebbe ora di spacchettarlo questo tempo di mezzo, no?” – tento una conclusione di un tema spinoso.
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