Viaggio nei bar di Clusone e Rovetta tra rabbia e paura

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di Sara Legrenzi

Giallo, arancione, rosso, ormai sembra vada di moda giocare a strega comanda colore. Eppure, per tante realtà questo gioco non è divertente. 

Per tanti esercizi commerciali il gioco è diventato addirittura un incubo!

Stiamo parlando di milioni di italiani che si trovano nell’incertezza del domani, che non sanno fino a quando la propria attività sopravvivrà, che non riescono a vivere grazie a quei pochi ristori ricevuti, che hanno dipendenti da mantenere e affitti da pagare.

Fare sacrifici per chiunque abbia un esercizio commerciale è inevitabile, però è indispensabile sottolineare che molte di queste non hanno avuto alcun genere di aiuto, anzi sono state proprio abbandonate.

I locali hanno accettato innumerevoli cambiamenti e privazioni e stanno tuttora soffrendo, nonostante la riapertura.

Siamo tutti d’accordo nell’affermare e nel sostenere che siano necessarie delle rinunce e dei sacrifici e tutti sono pronti a mettersi in gioco accettando delle limitazioni e modificando le proprie abitudini.

Tutte le realtà hanno sostenuto spese per sistemare i propri locali a norma di DPCM, eppure, nonostante l’adeguamento, la maggior parte di essi si trova ancora oggi con le proprie attività chiuse totalmente, o con limitazioni d’orario.

È veramente necessario e limita la diffusione del virus? È proprio dalle ore 18.00 che il covid inizia la sua grande impresa di contagio oppure è stato un accanimento ingiustificato?

È chiaro ed evidente che la situazione abbia creato parecchia confusione, ma era importante avere un occhio di riguardo per quelle attività che si sono trovate ad affrontare aperture a singhiozzo, dovendo correre ai ripari all’ultimo secondo per acquistare merce fresca da servire nei giorni successivi, all’ultimo secondo perché il preavviso era inesistente e si trovava poi, pochi giorni dopo, con le celle frigorifere piene di materiale deperibile che andava buttato perché improvvisamente si era tornati in zona rossa.

Siamo tutti consapevoli che la situazione andava gestita, controllata e rispettata, però bisogna prendere in considerazione che ci sono persone e famiglie che vivono grazie a questi posti di lavoro, e molti di essi si trovano ancora oggi con mille interrogativi irrisolti.

Ormai, quotidianamente si vive nell’incertezza del domani, non vi è la garanzia che si riesca a continuare a lavorare, e ciò non giova né a livello organizzativo, né tantomeno a quello mentale.

Abbiamo parlato con alcuni gestori di attività locali, chiedendo loro di esprimere un parere rispetto la gestione della limitazione delle aperture e cosa sarebbe stato opportuno fare per convivere con il virus.

BARBIS, di Clusone

Matteo Pezzoli, padrone del locale “Barbis” di Clusone sostiene che sarebbe stato opportuno non limitare l’orario di apertura dei bar perché ciò “crea soltanto la possibilità di aggregazione nei bar quando sono aperti, spostandosi poi nelle abitazioni private”. Lui sostiene che sarebbe “stato disposto ad accettare ulteriori riduzioni di posti a sedere, ma senza imporre un orario di chiusura”.

Riuscire a “distribuire” la clientela su un lasso di tempo maggiore, avrebbe evitato la “corsa” dei clienti in determinate fasce d’orario, garantendo una più facile gestione.

BAR SPICCHIO, di Rovetta

Al contrario, Gian Mario Visinoni, gestore del Bar Spicchio di Rovetta pensa che “sarebbe stato meglio tenere i locali chiusi perché la gestione del bar è abbastanza ingestibile, malgrado si cerchi di tenere le distanze, al contrario del ristorante che è più statico.”

Sottolinea anche che “i continui cambiamenti di colore della regione non hanno aiutato, sia a livello organizzativo che mentale. Era necessaria una presa di posizione e non questi continui cambiamenti, oltretutto senza grandi aiuti a livello economico”.

PICCOLO BAR, della Fiorine di Clusone

Anche Deborah Percassi, gestore del Piccolo Bar delle Fiorine di Clusone, pensa che “sarebbe stato meglio rimanere chiusi per più tempo, ma evitare i continui singhiozzi e cambi di colore settimanali”. In questo modo si sono sentiti soltanto poco considerati e non sapevano come organizzare il lavoro e gli ordini.

Sottolinea che alle condizioni attuali avrebbe “preferito rimanere aperta fino alle 22 in modo tale da distribuire meglio la giornata e non concentrare la clientela negli orari più critici dalle 16 alle 18”. Dal suo punto di vista, “la maggior parte dei clienti rispetta le regole, soprattutto per quanto riguarda l’uso della mascherina, anche se è ancora difficile far capire loro che non devono ammassarsi nel momento in cui escono dal locale”.

La sua richiesta è quella di “maggiore libertà e possibilità di lavorare anche solo fino alle 21”, perché sottolinea che “rispettano tutti le regole, e una volta che il locale ha raggiunto il numero massimo di coperti, non entra alcuna persona in sovrannumero”.

L’unica critica esposta è che nella sua realtà ha notato che fa più fatica a “far rispettare le regole a persone più grandi piuttosto che ai ragazzini.

BAITELLA ICE SKATING, di Onore

Parlando con Pietro Scandella della Baitella Ice Skating di Onore abbiamo avuto modo di confrontarci su un tema diverso e originale. Lui sostiene che i problemi nella categoria ristorazione non sono solo dovuti alla pandemia. “A prescindere dal Covid bisognerebbe iniziare ad interessarsi di più al bene della valle anziché del singolo individuo, cercare di collaborare con gente dello stesso settore e creare sinergia con tutti coloro che lavorano nel turismo, così da far conoscere ed apprezzare questo bellissimo posto che noi chiamiamo casa.”..

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