VIAGGIO NELLE VALLI – Vertova con i tetti a testuggine e il “rifugio” di S. Patrizio

165

di Lucio Toninelli

Scendiamo insieme, io e lui, come in una gara di sci parallelo. Proprio parallelo-parallelo, non lo è. Ogni tanto lo perdo di vista, poi lo ripiglio. O è lui che ripiglia me, uscendo da una curva o da una cortina di alberi. Le nostre strade si incrociano, lui mi passa sotto le gambe; io lo scavalco sulla schiena, ma non ci scontriamo mai. A volte sono i suoi ‘imbottigliamenti’ a rallentarlo. Altre volte, è il mio traffico, a frenare me. A me i miei semafori rossi, a lui le sue derivazioni, sbarramenti, chiuse, canali, centrali…

È dal Ponte di Nossa che è iniziato questo inseguimento non competitivo… sul Serio. Quando percorro questo tratto della statale e del fiume Serio, – qualunque sia il senso di marcia, – ogni tanto rallento. Cosa irritante per chi arriva da dietro, con il fuoco al culo e la mano sul clacson! Oh la là! C’è ancora il diritto di guardarsi intorno, no? Ma… niente. È proprio guardando intorno che sono stato colpito dal Santuario appollaiato su un’altura sul lato orografico destro del fiume, sopra Vertova e Colzate. E mi sono ripromesso da tempo di andarci.

È un fiume molto ‘sassuto’, il Serio. Come dite? che non esiste la parola? Sì, può essere, ma come ci sono persone ossute, ci sono fiumi ‘sassuti’, come il Serio. Sembrano sistemati ad arte quei massi d’ogni dimensione e forma, sparsi lungo il greto. Tanto che poco più avanti l’han capito che sono opere d’arte e ne han fatto una specie di parco-museo dei sassi erratici. Simpatico!

Mi piace guardarlo scorrere, il Serio. Mi piace anche pensare a quanta ricchezza regala da tanti secoli, in modi diversi, – mulini, magli, folli, lavatoi, abbeveratoi, l’irrigazione delle colture, energia… – alla gente che ha vissuto e vive lungo il suo corso.

Se fosse ‘senziente’, come sostengono i buddisti zen – ma anche San Francesco! – sarebbe felice di piegarsi alle esigenze del ‘re del creato’?  Boh, forse sì.  È come un somaro che deve portare la soma e se, nel suo andare alleggerisce un po’ la vita dei cristiani, tanto meglio. Magari ne approfitta per riposarsi un po’ anche lui.

Ora però devo abbandonarlo. “Ciao, Serio, sopporta la soma fino all’Adda. Poi si vedrà”.

E lui scende e va in fondo; io invece giro a destra verso Vertova. Tanto, arrivati qui, non si capisce più cosa sia fiume e cosa sia canale o condotta artificiale o roggia; cosa è strada o ponte di cemento e cosa è acqua quieta o fluente. È un groviglio di manufatti vecchi e nuovi che in qualche modo hanno a che fare col Serio.

Comunque, è per vedere Vertova, che mi fermo.

*  *  *

Èrtuå. Noi Bergamaschi delle Terre Alte, beviamo le “V”. Forse per evitare la fatica di congiungere labbro inferiore e canini superiori per pronunciare questa dannata vvvvvocale. Così ce le beviamo tutte. E Vertova diventa Èrtuå, Vilminore diventa ‘Ilminùr; Val di Scalve, ‘Al de Scalf; Val Seriana, ‘Alseriànå. E soprattutto, il Vino diventa… ‘ì’.  Mentre l’acqua resta sempre àiguå…

Quattromila anime o poco più, in declino demografico, come quasi tutti i paesi della valle: da 4900 del 2010, ai 4400 circa di oggi. Anche Vertova si conforma alla curva calante.

Dal fiume, quasi non la si vede, Vertova. Neanche dalla parallela provinciale 671.

SUL NUMERO IN EDICOLA DAL 19 GENNAIO

pubblicità