Gli scalvini in genere sono orgogliosi quando qualcuno di loro si fa onore fuori valle. Figuriamoci in questo caso in cui uno si è fatto onore e ha ricevuto onorificenze e riconoscimenti nel lontano Giappone. La storia che racconta Assunta Tagliaferri è dedicata a Stefano Romelli, alla sua Meto (una contrada sopra Vilminore) e i suoi 127 scalini, la sua famiglia, e poi a una persona schiva, umile, che ha rinunciato a diventare sacerdote (“Non me la sentivo di diventare prete. Ero pronto a dare la vita per la missione ed ero più che sicuro che avrei trovato tanto da fare anche come laico”). Assunta si trova nel suo bodo nel raccontare l’infanzia, da Meto si scendeva a piedi, a volte ruzzolando giù per la Val di Croce su quegli interminabili gradini, la cappelletta della Madonna Ausiliatrice, la grande famiglia capeggiata da papà Angelo (“era formata da undici fratelli, una zia e i genitori”, mamma (Bernar)Dina (così nel testo), la zia Fedele e tante piccole storie di gente che sbarcava il lunario come poteva, si beveva da una scodella per carenza di bicchieri sufficienti per tutti. Stefano era il primogenito (nato il 5 novembre 1921), la scuola a Vilminore fino alla quarta (non c’era la quinta). A undici anni viene portato su un carro trainato da un cavallo fino al convento dei frati di Lovere. Lo vestono da “fratino” e lì frequenta fino alla terza media. Stefano non voleva diventare frate. A 14 anni il papà lo va a prendere, fanno la strada a piedi da Lovere a Vilminore. Papà Angelo lo manda dai salesiani dei Becchi di Castel Nuovo d’Asti per imparare il mestiere e fa il noviziato….
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